Il termine Resilienza deriva dalla parola Resiliente, che trae le sue origini dal latino resiliens –entis, part. pres. di resilire «rimbalzare, saltare indietro» ed indica, in generale, un opporre resistenza a qualcosa.
Nell’uso, il termine Resilienza assume distinte definizioni in specifici contesti.
Esso è stato inizialmente applicato in campo metallurgico, indicando la capacità di un metallo di resistere alle forze alle quali è sottoposto. Nel tempo il termine è stato prestato anche ad altri campi, evolvendosi nel suo significato intrinseco.
In ecologia si intende la velocità con cui una comunità (o sistema ecologico) ritorna al suo stato di equilibrio dinamico, dopo essere stata sottoposta ad una perturbazione che ne ha alterato l’equilibrio.
In psicologia è la capacità di reagire a traumi e difficoltà, recuperando l’equilibrio psicologico attraverso la mobilitazione delle risorse interiori e la riorganizzazione in chiave positiva della struttura della personalità; in tale contesto è inclusa la caratteristica di uscire dal trauma più forti di prima.
In ambito imprenditoriale è la capacità dell’imprenditore di affrontare situazioni che complicano la generazione e lo sviluppo del suo business plan o progetto, creando sinergia con i suoi collaboratori per uscirne con successo e determinazione e basandosi sulla previsione del rischio.
Qualunque sia l’ambito, è chiaro che il principio di fondo è quello di sapere resistere alle sollecitazioni, adattandosi per tornare ad una nuova forma di equilibrio dinamico, migliore di quella precedente, in quanto contiene dentro di sè tutta la ricchezza della precedente esperienza, conferendo quindi un vantaggio evolutivo rispetto alla situazione precedente.
Si tratta di un’attitudine la cui ossatura è composta da una buona dose di ottimismo, di consapevolezza, di preparazione e di azione.
Questo non significa essere insensibili alle emozioni che scaturiscono da eventi traumatici, bensì essere in grado di modificare la lettura degli eventi, per poter uscire dalla zona comfort, sviluppando una maggior tolleranza e ripartire con nuova energia.
Secondo alcuni studiosi, la resilienza è una caratteristica innata in quanto costituisce la spinta evolutiva di tutti gli esserei viventi. Purtroppo, nella maggior parte di noi essa è dormiente.
Questo accade perchè non ne siamo consapevoli, a causa dei condizionamenti esterni che ci inducono a credere di essere deboli e fragili e aver spessobisogno di aiuto esterno.
È opportuno essere consapevoli che non si sveglia la resilienza in pochi giorni, ma serve un lavoro lento e costante, su sé stessi, un bagno di umiltà, la comprensione ed accettazione dei propri limiti. Serve soprattutto la voglia di confronto con gli altri per poter trasformare i propri limiti o difetti in risorse.
La cosa positiva è che certi pensieri, atteggiamenti e comportamenti che aiutano a sviluppare la resilienza, possono essere appresi, migliorati e sviluppati da tutti.
La resilienza non si sveglia in pochi giorni, ma serve un lavoro lento e costante, su sé stessi
I bisogni dell’uomo
Se noi osserviamo la natura, noteremo come essa ci indichi che essere resilienti implica anche avere più modi per poter soddisfare uno specifico bisogno, introducendo quindi il concetto di ridondanza.
Ad esempio le specie che si riproducono maggiormente e più velocemente, tendono ad essere più resilienti di altre che si riproducono in maniera più lenta.
Le piante che crescono in zone aride, hanno una capacità di immagazzinare e trattenere l’acqua in diverse parti del loro busto, per sopperire a periodi di siccità prolungata.
Da questi semplici esempi, possiamo ricavare una definizione trasversale di resilienza, che include il concetto di ridondanza e che potrebbe essere formulata nel seguente modo: poter disporre di molteplici mezzi e avere la capacità di sfruttare diverse opzioni per soddisfare i propri bisogni.
Quando l’uomo avverte uno stato di insoddisfazione (il bisogno) mette inconsciamente in moto un meccanismo (una motivazione ad agire) che lo spinge a procurarsi dei mezzi per porre fine o limitare tale insoddisfazione.
Tale concetto fu proposto nel 1954 dallo psicologo Abraham Maslow, il quale definì una scala gerarchica di bisogni, in base alla quale la soddisfazione dei bisogni più essenziali è il pre-requisito per far emergere bisogni di livello superiore.
Tale rappresentazione, conosciuta anche con il nome di Piramide di Maslow, è rappresentata nella seguente maniera.
Partendo dalla base troviamo:
- i bisogni FISIOLOGICI: fame, sete, sonno, termoregolazione, ecc. Sono i bisogni connessi alla sopravvivenza fisica dell’individuo. Sono i primi a dover essere soddisfatti a causa dell’innato istinto di autoconservazione (o sopravvivenza);
- i bisogni di SICUREZZA: protezione, tranquillità, sicurezza, stabilità, lavoro, buona salute, riduzione di preoccupazioni e ansie, ecc. Devono garantire all’individuo protezione e tranquillità;
- i bisogni di APPARTENENZA: essere amato e amare, far parte di un gruppo, essere accettati, comunicare, cooperare, partecipare, ecc.; Questa categoria rappresenta l’aspirazione di ognuno di noi a essere un elemento della comunità;
- i bisogni di STIMA (AUTOSTIMA): essere rispettato, avere rispetto per sé stessi, sentirsi apprezzati, riconosciuti, ecc. L’individuo vuole sentirsi competente e produttivo;
- i bisogni di AUTOREALIZZAZIONE: realizzare la propria identità in base ad aspettative e potenzialità, occupare un ruolo sociale, ricerca di uno scopo, sviluppo spirituale e morale, ecc. Si tratta dell’aspirazione individuale a essere ciò che si vuole essere sfruttando le nostre facoltà mentali e fisiche.
I bisogni del primo livello, definiti anche “bisogni fondamentali”, secondo Maslow, una volta soddisfatti, tendono a non ripresentarsi. In realtà essi potrebbero ripresentarsi, qualora il manifestarsi di eventi avversi metta in discussione l’equilibrio raggiunto.
I successivi sono invece i bisogni sociali e di relazione, che si ripresentano nel tempo, con obiettivi via via differenti in relazione ai cambiamenti che avvengono nella nostra vita sociale, professionale, affettiva.
Tralasciando il fatto che questo modello è fortemente incentrato sul meccanismo di autorealizzazione dell’individuo, che non è completamente attinente al nostro scopo, oltre che un pò vestusto per certi aspetti, quello che è importante evidenziare dallo schema, è la necessità che ci siano dei bisogni fondamentali da soddisfare, poiché da essi dipende la sopravvivenza dell’individuo.
Se tali bisogni fisiologici non verranno appagati, la loro realizzazione diventerà la motivazione principale del comportamento, e non ci sarà spazio per nessun altro bisogno.
In pratica si lotterà per sopravvivere.
È possibile assicurarsi o preservare al meglio il soddisfacimento di tali bisogni, incrementando il proprio livello di resilienza; facendo in modo di incrementare il numero di opzioni a disposizione.
Per fare ciò è necessario prepararsi, iniziando con una valutazione della propria situazione attuale, ponendosi qualche domanda.
Quanto penso di essere resiliente?
In un mondo oramai basato su uno stile di vita “just in time”, quasi completamente assuefatto al concetto di minimizzazione delle scorte, quanto sono ridondante e resiliente?
Cosa succederebbe se per un qualsiasi motivo il flusso dei rifornimenti dei supermercati della mia zona si interrompesse per più di cinque giorni? Per quanti giorni potrei ancora bere e cibarmi senza fare rifornimento?
Cosa succederebbe se per un qualsiasi motivo si interrompesse la fornitura di gas o energia elettrica per oltre due giorni consecutivi? Ho modo di riscaldare del cibo? Ho modo di conservare gli alimenti?
Ho modo di avere della liquidità in tasca o qualcosa da poter barattare, qualora io non possa prelevare? se si, quanta autonomia ho?
Verso dove e in che modo potrei muovermi, se i distributori di carburante non fossero più riforniti o non potessero erogare carburante?
Prenditi qualche ora o qualche giorno per riflettere su queste prime domande.
Scrivi le risposte su un quaderno, il tuo “quaderno della resilienza” e scrivi anche quello che, secondo te, può esserti utile nelle situazioni sopra elencate: abilità, conoscenze, attrezzatura, qualsiasi cosa.
Adesso domandati:
- Possiedo già queste cose?
- Sono eventualmente in grado di recuperarle, o acquisirle? se si, in che modo riesco a farlo?
Non preoccuparti se a questo punto, la risposta alle domande precedenti non è soddisfacente o è addirittura allarmante.
Nel portale troverai tantissime informazioni utili, condivisione di esperienze, abilità e spunti di riflessione che ti permetteranno di accrescere sia in consapevolezza sia in capacità e potenziare la tua resilienza o quella del tuo nucleo familiare/comunità.
La resilienza è un’attitudine, una forma mentis, basata su consapevolezza, preparazione ed azione, insita nelle nostre cellule, impressa nella nostra memoria arcaica.